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L’Unita
La morte nacque sotto forma d'amore
Con la riproduzione le cellule del nostro corpo si «suicidano» per dare vita a nuove cellule
Quando ci guardiamo nello specchio, di mattina, sappiamo di essere vivi, di avere un nome, un lavoro, degli amici, una fidanzata, una moglie, un'amante. Ci riconosciamo. L'immagine riflessa nello specchio si salda istantaneamente al nostro Io, a quello che pensiamo di essere. Siamo noi insomma e nessuno ci potrà facilmente convincere del contrario. E' da una vita che siamo abituati a riconoscerci anche se il nostro aspetto è così cambiato nel tempo che a volte stentiamo a capire che quel signore che ci osserva in modo così indiscreto dal cristallo di una vetrina siamo proprio noi.
In verità, potremmo essere morti senza neppure accorgercene perché in noi tutto cambia, il nostro corpo rinnova completamente le sue cellule ogni sette anni. Del vecchio corpo non resta assolutamente niente. Le cellule sono morte e rinate senza che noi ce ne fossimo mai accorti perché, in realtà, siamo un microcosmo, una nebulosa costituita da una popolazione eterogenea di migliaia di miliardi di cellule le cui interazioni generano tutto quello che siamo e che pensiamo. Quello che vediamo nello specchio non è il nostro volto ma un paesaggio composto da minuscoli esseri viventi che da miliardi di anni trascinano attraverso lo spazio e il tempo, le mutevoli incarnazioni della vita e della morte.
In genere, siamo portati a credere che questo punto finale, la morte appunto, metta fine in modo piuttosto definitivo al nostro Io e soprattutto a quell'immagine che il nostro corpo rappresentava nel mondo. L'unica forma di sopravvivenza è la riproduzione, il brutale trasferimento dei nostri geni in un altro corpo che a sua volta potrà riprodursi in una corsa seno fine. Noi saremmo, essenzialmente, «macchine da sopravvivenza» (la definizione è del grande etologo Niko Tinibegen), involucri ciecamente programmati per conservare quelle molecole egoiste che sono i nostri geni, consentendo loro di navigare nell'eternità del tempo. Tutto quello che nel corso della vita è stato creato, emozioni, bellezza, amore, dolore ecc., sarebbe solo un mutevole ornamento del viaggio eterno e senza orizzonte dei geni. Sé questa visione riduzioni sta e assai diffusa tra i biologi e neo-darwiniani fosse vera, la morte sarebbe nient'altro che il ritorno degli elementi organici alla loro origine, il termine di una funzione. In realtà la morte è qualcosa di molto più complesso e vitale. Lo scopo della morte, la sua nascita e, in un senso per niente paradossale, la sua funzione creatrice, sono le tappe percorse da Jean Claude Ameisen, nel suo libro straordinario Al cuore della vita.
La prima cosa che impariamo sulla morte è che ha una storia, una data di nascita che forse non molti vorranno festeggiare. Sbagliando. Alcuni miliardi di anni fa le cellule non conoscevano la morte. La loro funzione era quella dì esistere, sdoppiandosi, dividendo i loro geni in parti uguali per distribuirli a caso nell'eternità. Un'eternità cieca, monotona, terribilmente uguale a se stessa, viva e morta allo stesso tempo. Era il regno degli organismi unicellulari, dei batteri, i nostri più antichi antenati che hanno colonizzato la Terra, l'hanno plasmata, modificata riempiendo l'atmosfera dell'ossigeno che ci fa respirare. Questi organismi unicellulari oggi sono ancora tra noi, più numerosi di qualsiasi altro essere vivente. La divina invasione della morte ha invaso il loro regno, popolandolo di animali e di piante ma non li ha cancellati perché sono costretti all'eternità.
E' in un periodo intorno a un milione di anni fa (riuscite a immaginarlo?) che appare la morte sotto forma d'amore.Chi si chiede cosa fossimo prima di nascere può darsi questa risposta. Una potenzialità già presente nel tempo, ma frammentata, dispersa tra due cellule separate, lontane, appartenenti a due nebulose distinte che a un tratto, per caso, si attraggono e si congiungono fondendosi in una nuova cellula, una cellula uovo. Qualsiasi cosa osserviamo, compresi gli occhi con cui la osserviamo, è testimone di un evento familiare e misterioso. Una cellula unica fa sorgere un intero universo, un corpo d'uccello, un albero, una farfalla, un embrione. Un universo che cresce, si sviluppa e svanisce dopo aver prodotto altre cellule uovo da cui sorgono nuovi universi. Questa cellula unica nasce dalla morte e dalla morte riceve il suo alimento e la sua forma. La prima frattura nella simmetria dell'eternità avviene con la grande novità della riproduzione sessuale. Improvvisamente alcuni individui smettono di riprodursi con lasemplice divisione cellulare ma emettendo delle cellule particolari, i gameti, che mescolandosi alle cellule di un altro individuo di sesso differente producono un essere nuovo, una variazione potente che comporta l'invecchiamento e lamorte dei genitori che gli ha dato la vita.
L'immortalità dei batteri è sinonimo di conservazione mentre la sessualità e la morte assicurano il cambiamento, la creatività, l'evoluzione e la coscienza. Senza di loro saremmo ancora allo stadio dei batteri e, nell'arco di qualche miliardo dì anni di evoluzione saremmo, a malapena diventati una alga bluastra capace di vivere senza ossigeno.Nessuna scimmia nuda si sarebbe alzata in piedi, in mezzo alla savana, per giungere fino a noi dopo milioni di anni.
Se ascoltiamo le pulsioni profonde con cui l'inconscio nutre il nostro cuore, risulta ancora più evidente che i nostri veri genitori sono la Sessualità e la Morte. Ma è nel cuore stesso della vita che si nasconde il segreto della creatività della morte. E' il cosiddetto suicidio cellulare, la misteriosa capacità che hanno le nostre cellule di distruggersi in qualsiasi momento durante lo sviluppo dell'embrione. Intere parti appena formate del corpo muoiono inspiegabilmente per lasciare posto ad altre cellule che ne rimodellano la mutevole architettura secondo un progetto di cui ignoriamo il senso. Questa coreografia misteriosa, che proviene dall'abisso del tempo, ci conduce in un regno ancora inesplorato, in una dimensione nascosta dove vita e morte smettono di opporsi e si confondono.
Ugo Leonzi
22 septembre 2002